L’uso dello Scribbler 2 per la comprensione del concetto di angolo
Di Valentina Giordano
Questo lavoro nasce in seguito alla partecipazione al laboratorio di Robotica Educativa (LRE) presso l’Università degli Studi di Torino condotto dal prof. Giovanni Marcianò nel 2012. Da questa esperienza è nata in me la curiosità di voler provare se ciò che ci era stato presentato in università avesse reali ricadute positive anche in aula con gli studenti. Dunque, ho deciso di voler fare una ricerca sperimentale riguardante la robotica educativa, con lo scopo di voler dimostrare che un laboratorio di robotica educativa possa incrementare maggiormente l’apprendimento del concetto di angolo rispetto alla metodologia tradizionale.
Per raccontare il mio lavoro e specialmente l’esito ottenuto, parto dalla presentazione di un grafico che ben riassume la sperimentazione condotta. Il grafico, in particolare, presenta gli intervalli di punteggio ottenuti dalla classe sperimentale e da quella di controllo a inizio e fine sperimentazione.
Grafico 1: indici d’intervalli
Il grafico illustra i risultati ottenuti inizialmente dalle due classi (ossia dalla classe sperimentale e da quella di controllo), in particolare delinea l’intervallo di probabilità al 95%, che un valore della classe cada al proprio interno; come si può notare, l’intervallo della classe di controllo e quello della classe sperimentale si sovrappongono fra di loro, dando perciò ragione di credere che le due classi, sebbene non abbiano ottenuto lo stesso risultato, siano comunque omogenee, proprio perché si ottiene questa sovrapposizione. In seguito all’introduzione del laboratorio di robotica educativa in una classe e alle lezioni in forma tradizionale nell’altra, si è proceduto nuovamente con la somministrazione del test e si sono ottenuti i risultati illustrati dal grafico nella parte in alto, ossia un grosso miglioramento nella classe sperimentale, nettamente migliore rispetto a quella di controllo. Quindi, lo scopo che mi ero prefissata è stato pienamente raggiunto, dimostrando perciò come la metodologia della robotica educativa sia, nel caso della spiegazione del concetto di angolo, migliore rispetto a quella tradizionale.
Le classi coinvolte sono state due: quella di controllo e quella sperimentale. Al momento della sperimentazione gli alunni delle due classi frequentavano le quinte della scuola G. Marconi di Collegno (TO). Sono classi variegate, con alcuni casi di disabilità e alcuni casi di DSA o BES.
Affinché si ottenessero dei risultati ottimali per la sperimentazione, è stato allestito un ambiente di apprendimento opportuno: in particolare ho scelto un setting composto da uno ampio spazio, con alcuni banchi per poter appoggiare i computer e perciò lavorare alla programmazione, e spazi liberi per far muovere i robot. La metodologia adottata è quella di procedere per tentativi ed errori, avviando un processo di apprendimento per scoperta. Quindi, a partire da un evento segue una riflessione, poi avviene l’azione e in seguito alla risposta che si è ottenuta c’è nuovamente la riflessione con il rimodellamento dell’azione. È un circolo virtuoso, in cui il protagonista vero e proprio è l’allievo, mentre il docente assume la funzione di “mediatore-regista”.
I feedback vengono dati direttamente dal risultato dell’azione e sono immediati. Alla conclusione dell’attività ci si confronta tutti assieme sui risultati ottenuti, con una condivisione delle scoperte e una metariflessione su ciò che si è imparato. Tutte queste fasi richiedono il lavoro in piccoli gruppi, poiché solo attraverso la collaborazione si riesce realmente a concludere il compito assegnato. Inoltre, attraverso l’apprendimento cooperativo avviene anche un’attività di tutoring tra compagni, con tutti i benefici che da questo possono derivare. Il ruolo dell’insegnante richiedeva una forte consapevolezza di ciò che stavo facendo e una preparazione attenta. Dovevo riuscire a essere conduttore del processo, lasciando però spazio agli alunni affinché potessero fare la propria esperienza; dovevo condurre gli alunni verso la meta stabilita camminando per mano con loro e ascoltando i loro bisogni e necessità. Inoltre, essendo il docente un mediatore, dovevo seguire quello che è lo schema proposto da Feuerstein: S->H->O->H->R, cioè l’insegnante si deve interporre tra lo stimolo iniziale e il soggetto e, nuovamente, tra il soggetto e la reazione; gli studenti non sono lasciati a loro stessi, ma vengono guidati e accompagnati nel loro processo dall’insegnante-mediatore.
Prima di iniziare l’attività laboratoriale ho somministrato un test iniziale nelle due classi. Questo test per verificare che le due classi fossero omogenee tra loro e che, quindi, operando con metodi diversi si potessero confrontare i risultati finali ottenuti. Dai risultati emersi, mostrati anche nel grafico presentato inizialmente, si può vedere come le due classi siano risultate omogenee tra loro, anche se la classe di controllo ha ottenuto risultati leggermente più alti. Si è poi iniziata la sperimentazione vera e propria nella sola classe sperimentale, mentre nella classe di controllo si è proceduto tramite un ripasso dell’argomento angolo in maniera più tradizionale.
Il laboratorio ha avuto durata di venti ore, suddivise in dieci incontri. Siccome i macro-gruppi erano due, a ognuno di essi si sono dedicate 10 ore complessive di lavoro. La sperimentazione si è svolta dal 17/10/2013, al 19/12/2013, con cadenza settimanale di giovedì, dalle 10,30 alle 12,30. Il lavoro è stato speculare per entrambi i gruppi. A fine incontro veniva richiesto ad ogni gruppo di fare la scheda per presentare l’attività svolta. Durante i dieci incontri sono stati affrontati diversi aspetti dell’angolo: a partire dalle diverse definizioni, e quindi le caratteristiche che ne derivano, per arrivare alla misurazione tramite goniometro e alla somma. È stata anche presentata la classificazione degli angoli e la classificazione dei poligoni proprio in base agli angoli. A fine laboratorio, abbiamo elaborato una mappa mentale che riassumesse il concetto di angolo. Si è conclusa in questo modo la sperimentazione vera e propria. Per tutti gli argomenti trattati, è stato utilizzato sempre lo Scribbler 2 in modo giocoso, per poi arrivare alla costruzione dell’apprendimento.
A fine sperimentazione ho somministrato nuovamente il test, uguale a quello iniziale, a entrambe le classi, per verificare se ci fosse stato un miglioramento nell’apprendimento di angolo e se ci fosse stato una differenza nell’apprendimento tramite la robotica educativa e il metodo tradizionale. In seguito all’elaborazione dei test conclusivi ho potuto verificare come la classe sperimentale avesse ottenuto dei risultati nettamente migliori rispetto a quella di controllo. Infatti, le due medie sono molto differenti e distanti tra loro, con un risultato più alto da parte della classe sperimentale.

Infine, ho somministrato nuovamente anche i questionari e dai risultati ottenuti è stato possibile desumere come sia stato positivo il laboratorio di robotica educativa per la classe. Non solo hanno avuto occasione di divertirsi e fare qualcosa di diverso, ma hanno potuto imparare nuove cose o chiarirsi concetti che non avevano capito, collaborando con i propri compagni: per tutti questi motivi c’è il desiderio di continuare con la robotica.
Alla luce dei risultati ottenuti posso asserire che la sperimentazione sia andata a buon fine. Infatti, la classe sperimentale ha riportato dei punteggi conclusivi molto più alti rispetto alla classe di controllo, nonostante il test iniziale avesse restituito delle medie che presentavano un risultato opposto, con la classe di controllo migliore. Proprio grazie al “t Student” e alla comparazione delle medie iniziali e finali, è stato possibile confermare l’ipotesi che l’apprendimento mediante la robotica educativa sia migliore rispetto a quello tradizionale.
La sperimentazione è risultata alquanto interessante anche per altri aspetti, oltre a quelli già più volte sottolineati dell’apprendimento più alto grazie all’attività alternativa. Innanzitutto, ho potuto notare come, durante le ore di laboratorio di robotica educativa, tutti gli studenti fossero maggiormente coinvolti e appassionati, rispetto alle lezioni più tradizionali svolte in classe.
Durante il laboratorio ho potuto osservare come, alunni di solito in difficoltà oppure con problemi di comportamento, ottenessero risultati più soddisfacenti rispetto ai compagni: in particolare è stato interessante osservare come un alunno disgrafico, che durante le lezioni tradizionali non riusciva a esprimere pienamente il proprio potenziale, nel corso del laboratorio si è dimostrato tra i più bravi e intuitivi nell’utilizzo del robot, oltre che nella comprensione dei concetti; ma ci sono molti altri casi analoghi: ad esempio l’alunna che nelle lezioni ordinarie non faceva pressoché nulla e veniva a scuola senza i compiti fatti, nell’aula di robotica è stata tra i migliori a completare le sfide e ha sempre eseguito i compiti assegnatole; si può portare anche l’esempio dell’alunno con disturbi comportamentali che si è dimostrato brillante e perspicace e anche in grado di collaborare con il proprio gruppo. Ciò sta a dimostrare come la robotica non sia solo per i più bravi a scuola ma, riesca a far risaltare chi ha delle difficoltà o non è attratto dalla didattica tradizionale, senza penalizzare chi, invece, presenta già degli ottimi risultati scolastici. La robotica educativa ha dimostrato di poter essere metodologia adatta alla personalizzazione dell’insegnamento, idonea anche per quei casi di disabilità o di BES.
Ho potuto notare anche come la robotica lavori molto sulla motivazione, sia intrinseca che estrinseca. In questo caso per la motivazione estrinseca era assegnare un premio a qualunque gruppo vincesse una sfida. Come motivazione intrinseca, invece, c’era la voglia di potersi migliorare e dimostrare di aver capito come fare l’attività proposta. Inoltre, la robotica ha permesso, quindi, non solo l’apprendimento di diverse conoscenze, ma anche l’acquisizione di differenti abilità che portano all’acquisizione di competenze: la flessibilità, la capacità di far ricerca, il problem solving, la collaborazione, il ragionamento e la creatività.
Dopo un’esperienza del genere, la classe risulta più competente ed autonoma; di questi risultati se ne sono accorti anche gli studenti, poiché nei questionari hanno risposto in modo favorevole alla possibilità di continuare con la robotica, rendendosi conto dell’occasione unica e formante che hanno avuto a disposizione.
Per me è stata un’esperienza molto positiva che mi ha fatto prendere sempre più coscienza del fatto che la robotica educativa possa essere un’ottima alternativa a quella didattica tradizionale, molto spesso noiosa e per nulla stimolante.
